Non starò qui a elencare come al solito il mio amore
reverenziale nei confronti di tutti i prodotti Marvel o di come la Netflix non
sbaglia mai un colpo (anche perché l’ho appena fatto), Jessica Jones va oltre
tutto ciò.
Il fatto di avere a disposizione un’intera stagione di una
serie fin da subito non mi spinge solitamente a spararmela tutta in pochi giorni. Certo
esistono le maratone che tutti noi telefili amiamo fare nei momenti in cui ci
chiudiamo fuori dal mondo (e ne abbiamo tanti di quei momenti), ma il bruciarsi
in poco una cosa la rende più effimera e sfuggevole secondo me. Non dico che la
cadenza settimanale della tv sia la scelta migliore, ma è innegabile che
permette di fomentare la passione per uno show in maniera esponenziale. Il caso
più recente che mi viene in mente è giusto Daredevil; una serie Marvel
prodotta da Netflix e disponibile tutta e subito. Tutti ingredienti perfetti per
una supermaratona, ma non per me. Ho impiegato settimane a vederlo tutto, e non
perché non mi sia piaciuto, anzi, ma volevo gustarmelo volta per volta, mai visti più
di due episodi di fila. Queste regole che potremmo definire “razionali” con
Jessica Jones sono andate all’aceto. Lo so tutta questa manfrina per poi
smentirsi da soli? Se cercate la coerenza non la troverete nel campo delle
emozioni ma nella scienza o che so io. Le emozioni sono il fulcro di tutto, il
senso di passare ore e ore davanti a uno schermo sta nelle emozioni che si
provano in quei momenti. Già sento gli pseudo intellettuali criticare “per provare certe
emozioni vivi il mondo”, bella fregatura quando hai una sola vita a
disposizione e scarse disponibilità per girartelo sto mondo. Non sto divagando, è
questo il punto. Jessica Jones mi ha emozionato. Mi ha colpito in maniera
inaspettata e piacevole. Mi ha spinto a fare le 3 la notte quando avevo la sveglia
alle 8; mi ha fatto compagnia nelle fredde sere d’inverno, mi ha fatto
arrabbiare quando Jessica subiva ingiustizie, mi ha fatto ridere quando lei
faceva la stronza, mi ha fatto esultare all’1:28 di un sabato notte quando ho
visto l’ultimo episodio.
È stato come un viaggio inatteso. Quanti conoscevano il personaggio
Jessica Jones prima della serie? Ok i fan dei fumetti ma andiamo, metà di noi
ha dovuto cercare su wikipedia per sapere chi lei fosse e l’altra metà proprio
non ha indagato, perché è questo il bello di questa serie, forse per la prima
volta in un prodotto Marvel non sapevamo con chi avevamo a che fare. Nel pilot
se non fosse stato per il volo (o meglio la “caduta controllata”) e la scena in
cui sollevava una macchina, non ce ne saremmo nemmeno accorti che lei avesse un
qualche potere, che fosse “una di loro”. In questo Daredevil rientrava più
nello standard (per quanto sia una serie da diversi punti di vista originale e
inedita): un giovane dal buon cuore e dalle particolari abilità cerca di
salvare la sua città e i più deboli dai potenti e insensibili cattivi. Jessica
invece è una donna danneggiata che cerca di andare avanti con la sua vita giorno
dopo giorno, bottiglia dopo bottiglia, caso dopo caso. Dice bene il suo vicino
quando afferma che oltre la corazza di arroganza e sarcasmo si cela una persona
che soffre. Tutti i supereroi hanno i loro traumi, non è certo questa la
novità, ma lei non si è ripresa andando a caccia di criminali nei vicoli bui la
notte o indossando un’armatura supertecnologica, semplicemente lei non si è
ripresa.
Kristen Ritter non è nuova a ruoli da stronza, ma stavolta
ha superato se stessa, è andata oltre. Una stronza certo ma con mille problemi, ogni sua
battuta sarcastica ha un retrogusto disincantato, come se nel momento in cui apre bocca si rendesse conto che tutto quello che fa o dice non ha senso, non
serve a nulla, perché lei non potrà guarire, non potrà andare avanti, non potrà
vivere. Si lascia andare alla deriva, una porta rotta, una casa in disordine,
un frigo perennemente vuoto…e allora? Solo quando il male viene in contatto con
chi le sta accanto, quei pochi a cui ancora tiene, allora si sveglia, o meglio
si attiva per proteggerli il tempo necessario a tornare a quello stato di
equilibrio e apatia. Il ritorno di Kilgrave è un dolore lancinante per lei, ne
è terrorizzata, ma allo stesso tempo è la scossa che la rianima, che le dà
qualcosa per cui lottare, per cui vivere. Si parla tanto di eroi e forse lei lo
è, o anche no. Vuole annientare Kilgrave non per salvare il mondo, ma per
evitare che anche solo un’altra persona passi quello che ha passato lei. Niente
supercriminali, niente apocalissi da sventare, solo un uomo che può fare ciò
che vuole quando vuole a chi vuole. Un bel potere sembrerebbe, ma anche a costo
di strappare la libertà agli altri? Questo Jessica non può permetterlo. Inizia
tra loro una danza, una partita infinita, una caccia uno contro l’altro. Si
attraggono e si respingono, potrebbero andare avanti per sempre. Lei che lo
insegue, lui che si fa scudo di innocenti, lei che per salvarli lo fa scappare,
e ancora e ancora e ancora. Il finale è liberatorio, per lo spettatore e per
Jessica. Ora può vivere la sua vita, ora è libera. Ma che fare? Intanto
facciamoci una bevuta, poi vedremo. Al più si può tornare in affari alla Alias
Investigations, le bollette vanno pagate e l’alcol pure.
Questo non vuole essere un saggio sul prodotto Jessica
Jones, di certo non una delle mille recensioni che dal 20 novembre ad oggi
avranno intasato la rete, e poi ci mancano mille dettagli. Vogliamo parlare
delle atmosfere e le musiche da film noir anni ’50, a cominciare dalla sigla
incantatrice, che danno un’eleganza e un sapore mai visto? O dei riferimento
all’UCM più presenti (e quindi più apprezzati) rispetto a Daredevil?! O spulciare
l’elenco dei personaggi secondari? Rachel Taylor, la regina delle serie tv flop
(Charlie’s Angels, 666 Park Avenue, Crisis) qui forse per la prima volta si fa
apprezzare, il suo modo di recitare non disturba ma anzi caratterizza bene il personaggio di Trish Walker, la tipa ricca e famosa che in cuor suo è invidiosa dei poteri
dell’amica e cerca sempre di aiutarla (solitamente peggiorando la situazione).
Carrie-Anne Moss che dopo 15 anni da Matrix ha ancora lo stesso taglio di
capelli e la stessa faccia da schiaffi (perfetta come avvocato penalista). Di
quell’omone di Luke Cage che appare e scompare ma solo perché lo attende una
serie interamente su di lui quindi sembrava brutto stare in ogni episodio.
Dell’Uomo Porpora, magistralmente interpretato da David Tennant che è passato
dall’essere uno dei Dottori più amati di sempre al villain più irritante di
sempre.
Insomma dicevamo questo post non vuole essere nulla (un po’
come Jessica), non ha un perché o uno scopo, sono le riflessioni random di uno
che ha visto gli ultimi 3 episodi della serie dopo averla divorata in grossi
succosi bocconi nel giro di due settimane (tutta colpa della vita vera poi, se
no ci avrebbe messo molto meno) e che sentiva il bisogno di buttare giù due
righe a riguardo. Poi come al solito “la scrittura nutre se stessa” ed è finito
a scrivere uno dei suoi soliti papiri che nessuno leggerà mai (è banale e ripetitivo anche nel compatirsi, per non parlare del fatto che sta parlando di se stesso
in terza persona..folle!). Un flusso libero di pensieri e parole, in un periodo in cui sono vincolato spesso a determinate regole redazionali, questo resta il mio spazio di libertà. Non voglio stare lì neanche a consigliare di vedere la serie a chi non lo ha ancora visto. Dico solo che è un qualcosa che mi ha colpito, mi
ha emozionato, che mi ha lasciato un segno e quando una cosa ti dà tanto non
bisogna mai nasconderlo, va condiviso.
Ora attendiamo Luke Cage con la speranza di rivedere anche
la nostra cara Jessica in un qualche cameo (a proposito Ciao Rosario Dawson) e
il successivo Iron Fist, che dovranno dare il massimo per fare meglio dei loro
colleghi finora comparsi (e le premesse non solo a loro favore) se vogliono
essere all’altezza della grande reunion sotto il segno dei Defenders.
Vostro inarrestabile telefilo David
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